Una storica cantina di Casteggio (Pavia) che ha fatto innamorare anche Alfred Hitchcock per la qualità dei suoi vini. Oggi, a distanza di 100 anni, continua a segnare la storia del vino italiano nel mondo.
E’ della famiglia Radici Odero la proprietà dell’Azienda Frecciarossa, storica realtà vitivinicola che ha fatto davvero del bene all’Oltrepò Pavese, diventando un caso virtuoso in una terra dalle produzioni troppo spesso massive.
Vignaioli dal 1919, quando a Costeggio, in provincia di Pavia, a due passi tra il Piemonte e l’Emilia, Mario Odero, innamoratosi di queste terre, decise di produrre solo due tipologie di vini: “vini di qualità” e “vini del territorio”.
E il capitolo “vini di qualità” origina con la stessa nascita di Frecciarossa.
Se storicamente, infatti, l’Oltrepo’ Pavese è sempre stata una terra paludosa, Frecciarossa nasce, invece, in un lembo virtuoso.
Non a caso il nome della stessa Azienda non è un rimando ad antiche tribù di Pellerossa indiane né precursore di linee ferroviarie moderne, ma solo il nome del toponimo in cui sono allevate le vigne: “Fracciarossa” che deriva da fraccia (cioè una frana, nel dialetto pavesano) e rossa, come l’argilla presente su questi vigneti. Tutto ciò, in soldoni, si traduce, poi, nel calice, in una notevole freschezza di cui si arricchisce il sorso ed in una sorprendente capacità di invecchiamento nel tempo.
Ma il capitolo “qualità” continua con un nuovo paragrafo, quando, nel 1930, Giorgio Odero, figlio di Mario, vedendoci lungo, decise di portare la Borgogna direttamente in Oltrepò.
Sue sono infatti le barbatelle di Pinot nero, oggi diventate viti ultra settantenni, che si ritrovano negli 11 ettari della tenuta. E da qui in poi il decollo dell’Azienda è prossimo e con esso anche un pezzo della viticoltura italiana. Giorgio decide, infatti, di vendere il vino in bottiglia. Che detta così parrebbe una scelta scontata, ma a quei tempi il vino era venduto unicamente come sfuso o, a voler essere signori, in damigiane. Così Frecciarossa rompe le dinamiche di mercato, e diventa la prima Azienda italiana ad imbottigliare il vino, aprendosi al mercato internazionale.
Il passo per i primi e importanti riconoscimenti è stato breve e, infatti, negli anni ’30, l’Azienda è diventata la fornitrice ufficiale dei Vice Re delle Indie e, successivamente, anche della Real Casa italiana.
Oggi il capitolo “vini di qualità” è garantito soprattutto grazie alle scelte di Valeria Odero, arrivata alla quinta generazione, la cui filosofia è lontana anni luce dalle pratiche, per così dire, industriali del vino. Nelle sue vigne si pratica il sovescio e i “pasti” principali per il terreno sono costituiti soprattutto dal letame degli stessi animali che vivono in Azienda. Manco a dirlo, quindi, Frecciarossa è certificata come azienda biologica già dal 2017.
La tenuta è davvero tutto un bel vedere, dalla casa patronale in stile liberty che padroneggia al centro dei vigneti, alla cantina di moderna costruzione, ai filari di vite che paiono lingue di terra baciate dal sole e che accompagnano la discesa della vista dall’alto della collina fino alle sue pendici.
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Ma passiamo, ora all’altro capitolo: i “vini del territorio”, visto che gli autoctoni hanno sempre avuto un ruolo primario per gli Odero. Ebbene della degustazione svolta nel quartier generale dell’Azienda, il vino che consente alla penna di scrivere senza il benché minimo accenno di ripensamento è, senza luogo proferire, l’Amari.
L’Amari è il manifesto per eccellenza del “vino del territorio”, un blend di uva rara, croatina e ughetta vinificato in tini tronco – conici con una macerazione di 28 giorni, per poi invecchiare 10 mesi nelle stesse botti di rovere e subire un breve passaggio semestrale in acciaio prima di essere imbottigliato. Tredici gradi e mezzo e non sentirli, per l’annata 2017, con quella struttura tannica che regala una certa austerità al sorso e che viene poi smorzato dalla leggerezza e vivacità di un frutto che pare giovanissimo e di notevole freschezza.
La punta di diamante per l’Azienda, però, è il Giorgio Odero, un pinot nero fermo in purezza. E sottolineare il suo carattere “fermo” non è affatto un’ovvietà in Oltrepo’ Pavese, dove questo vitigno è quasi sempre utilizzato per la spumantizzazione. In queste terre il pinot è’ notevolmente diffuso, basti pensare che l’Oltrepò, ovviamente dopo la Borgogna, è il territorio più esteso per superficie vitata destinata a questo vitigno (anche più della zona dello Champagne).
L’enfant terrible di Frecciarossa matura 12 mesi in barrique e affina 18 mesi in bottiglia, e la 2011 pare ancora ansiosa di voler invecchiare, sapendo già che lo farà alla “Benjamin Button” . Le sue lancette del tempo continuano a scorrere in senso antiorario e più questo vino invecchia più pare vivida e gioviale la sua bevuta, mentre aumenta, in senso inversamente proporzionale, lo charme e l’eleganza di cui si connota.
Non è un caso che uno dei massimi esperti di vino come Giancarlo Gariglio di Slow Wine, discettando del Giorgio Odero lo ha definito “semplicemente uno dei più buoni della zona e uno dei migliori a livello italiano. Spessore e finezza, matrimonio perfetto”.
Un ultimo paragrafo che riassume entrambi i capitoli tra “vini di qualità” e “vini di territorio” lo riserviamo, invece, ad un bianco e precisamente ad un riesling renano DOC: “Gli Orti” che ha avuto tra i suoi estimatori famosi, anche il leggendario Alfred Hitchcock, come testimonia una pagina autografata e gelosamente custodita dalla famiglia Odero nella stanza adiacente alla sala di degustazione.
Il millesimo 2018 si apre verso sottili, ma delicati profumi di fiori d’acacia e frutta bianca. Ancora lontane le note di camomilla e miele, ma che non stenteranno a venire con una maggiore evoluzione in bottiglia. Il suo palato vibra di acidità e chiude in sapidità. E’ un fanciullino e come tutti i riesling va atteso al varco, ma è già insita la sua firma di eleganza e mineralità. Quel che è certo è che di strada ne farà e saprà spianarla, continuando a rendere “Frecciarossa” l’esempio virtuoso dell’Oltrepò Pavese.
(Assunta Casiello)