Mezzo secolo, un tempo lungo. Lunghissimo, quando si parla di un ristorante. Quasi incredibile, se il ristorante in questione è tra le stelle sempre presenti nel firmamento dell’alta, altissima ristorazione. Il Don Alfonso ha riaperto ieri sera i battenti, per la felicità dei suoi clienti, che arrivano da tutti e cinque i continenti per farsi coccolare ai tavoli o riposarsi tra i molti guanciali delle suites al piano di sopra. Sarebbe tutto meravigliosamente normale, se non fosse che il Don Alfonso è stato chiuso un anno intero. Senza averne apparentemente bisogno. Le camere erano bellissime, la sala ristorante splendente, i piatti super squisiti, la cucina da rivista internazionale di interior design, la salute della famiglia proprietaria ottima e abbondante.
Eppure, gli Iaccarino hanno rinunciato all’incasso di una stagione, acceso qualche mutuo che varrà loro preghiere di buona salute dalle banche dove sono stati accesi e accumulato parecchi capelli bianchi per i lavori che sembravano non finire mai. Una decisione tanto ferma e repentina da far ipotizzare il peggio: disamore da stanchezza, voglia di ridimensionamento, necessità di pensare finalmente a godersi la vita, e pazienza per i sogni di un tempo e le stelle che forse andranno altrove. Errore! Gli Iaccarino hanno deciso di chiudere per fare il lifting più radicale e delicato della loro storia. Radicale nel senso che ha coinvolto letteralmente le fondamenta della struttura. Delicato perché bisognava scommettere sulla fedeltà e sulla pazienza della clientela, in una parte d’Italia che è un trionfo di indirizzi chic e golosi come nessun’altra. Il nuovo look del Don Alfonso e l’agenda straripante di prenotazioni fanno pensare che la scommessa sia stata vinta.
L’elenco dei lavori ha avuto come fil rouge l’approccio ecologico, dalla gestione dei rifiuti alla riduzione drastica di consumi energetici e idrici, tra cappotti termici, cisterne per l’acqua piovana, fotovoltaico e dry garden (con piante a bassissimo bisogno idrico). Obbiettivo zero: zero emissioni, zero rifiuti, zero chimica. Perché ovviamente la rivoluzione verde, ma verde davvero, ha coinvolto anche Punta Campanella, il fantasmagorico orto delle meraviglie che si specchia nel mare davanti a Capri, dove già il biologico regnava sovrano. Intorno ai terrazzamenti paradiso di api e libellule sono state fatte alcune migliorie per arrivare alla totale ecosostenibilità dell’azienda agricola. Tutto questo a sostegno e sostanza di una cucina ad alto gradiente goloso, ma anche sensibile come mai ai paletti che gli Iaccarino hanno deciso dal primo giorno di apertura, cinquant’anni fa.
Non è solo il recupero del San Marzano originale, il primato delle verdure figlie di una terra risanata, il giusto compenso per i fornitori, il rapporto costante con medici e scienziati. E’ l’idea stessa di ristorazione come presa in carico dei clienti, come cura dell’altro, come attenzione per l’ambiente e per i dipendenti tutti, senza differenze tra sous chef e lavapiatti. Tre i menu che accompagneranno pranzi e cene: vegetariano, tradizione e degustazione, oltre ai piatti della carta.
Ci saranno la tartelletta di zucchine con salsa di scamorza affumicata e gel di limone e la sfoglia di peperone imbottita, ma anche la ventresca di tonno alla puttanesca e le tre consistenze di limone. E’ facile dire: più che un ristorante o un relais, un’esperienza. Questo gli Iaccarino hanno cominciato a farlo mezzo secolo fa. Ancora una volta, sono arrivati un attimo prima. Non per ansia di primato, ma per scelta di vita.
Avercene, di ristoratori così.
Corso Sant’Agata, 11/13
Sant’Agata Sui Due Golfi, Napoli
Licia Granello è torinese di nascita e napoletana per scelta di vita. Scrive libri e tifa Toro. Su Repubblica ha scritto a lungo di calcio e di cibo. Oggi collabora con Grande Cucina, Vanity Fair e Wine&TheCity