È ai vini di queste terre che è stata riservata la prima edizione campana di “Taste Alto Piemonte” che si è tenuta dal 30 al 31 maggio scorso a Napoli.
E’ con Mauro Carosso, uno dei maggiori conoscitori del territorio piemontese, nonché delegato A.I.S. Torino, che scopriamo l’altra faccia del Nebbiolo, quella che non si veste di solo Barolo, ma che, anzi, assume sfaccettature e sfumature così tanto differenti da farlo sembrare lontano anni luce dal suo vicino langarolo di vigna.
Così in otto masterclass tenutesi nelle prestigiose sale dell’Hotel Excelsior di Napoli, Carosso ci ha guidato attraverso le lunghe risaie delle pianure di Vercelli e Novara fino a giungere in luoghi dove la terra inizia a salire lentamente verso le Alpi, incrociando paesi semi – sconosciuti ai più, ma ben noti al mondo enologico. Era il 1999, infatti, quando Il Consorzio Tutela Nebbioli Alto Piemonte decise di puntare le luci sulla Valsesia, sulla sua identità e sull’incredibile patrimonio enoico di queste terre. Un’opera di valorizzazione che è passata, anzitutto, dal riconoscimento delle sue denominazioni con due D.O.C.G. quelle di Ghemme eGattinara e poi otto interessantissime D.O.C. di Boca, Bramaterra, Colline Novaresi, Costa della Sesia, Fara, Lessona, Sizzano e Valli Ossolane.
Ed è così che le vere protagoniste di questi due giorni sono state, dunque, le 29 aziende vitivinicole che si sono fatte testimoni delle singole denominazioni, in un viaggio alla scoperta del territorio dell’Alto Piemonte.
Di queste, di seguito, un excursus che vale un lungo pezzo di statale piemontese, tra le denominazioni di Gattinara, Sizzano, Lessona e Colline Novaresi.
Colline Novaresi DOC
E’ una Doc nata nel ‘94 e riservata ai vini ottenuti prevalentemente da Barbera, Croatina, Nebbiolo (localmente detto Spanna), Erbaluce, Uva Rara e Vespolina. E tra i 26 Comuni della Provincia di Novara che possono fregiarsi di questa denominazione rientra anche Ghemme, sede della giovane Azienda Pietraforata, fondata nel 2012, che apre le porte di questa Masterclass con “Orezza 2020”, un rosato da Nebbiolo in purezza, dal colore rosa tenue e dai riflessi aranciati, che vede solo acciaio nei suoi 5 mesi di affinamento. L’altra faccia della denominazione, quella più tipica, è, però, senza dubbio, la vinificazione in rosso del Nebbiolo in purezza. E così si passa dal pink lady del rosato alla versione dark con Crespi Alberto e il suo Colline Novaresi “Lupo Rosso 2018” che al naso si apre con fini e intense note tostate e nitide sensazioni ferrose, quasi metalliche, che si contemperano a sentori di frutta in evoluzione. L’attacco al palato è ampio e di corpo e l’equilibrio è garantito dalla ben vestita freschezza nonché da tannini dolci e fitti.
Della stessa denominazione è il terzo assaggio in degustazione, con “Spena 2017” di Cantinoteca dei Prolo, che consente non solo un confronto tra due diverse annate (17-18), ma che diventa esemplificativo anche della notevole eterogeneità del territorio piemontese. Se con Crespi Alberti ci troviamo, infatti, quasi al confine della denominazione, la Cantinoteca dei Prolo ha invece sede a Fara Novarese, dunque nel cuore della denominazione di Fara, e nel calice emerge un impeto di speziature preponderante rispetto all’assaggio precedente. Sorso sottile ma dinamico, che trova un giusto compromesso nelle sue componenti anche in considerazione di un’annata, la 2017, non propriamente da ricordare negli annali.
Sizzano DOC
A questo assaggio va anzitutto il merito di diventare il manifesto di una delle denominazioni, forse meno note, dell’Alto Piemonte, quella di Sizzano. Anche se ad onore del vero è solo la storia enoica che pare averla dimenticata, visto che già Camillo Benso di Cavour così discettava parlando di una bottiglia di Sizzano “cotesto vino possiede in alto grado ciò che fa il pregio dei vini di Francia e manca generalmente ai nostrani, il bouquet”. E lo conferma questa bottiglia dell’Azienda Chiovini&Randetti. Paride Chiovini è un fervido sostenitore della lotta integrata in vigna e l, con il suo “Sizzano 2015”, ci regala leggerezza e spensieratezza in un calice saldo nel suo sorso, dal tannino misurato e coerente in termini di persistenza. Unica nota un po’ stonata forse il suo colore, che pare quasi anacronistico, teso, forse troppo, verso il granato per essere classe 2015.
Lessona DOC
Denominazione relativamente giovane, nata nel 1976, che ricade esclusivamente nel territorio dell’omonimo comune, dove più che delle altre zone, è preponderante la presenza di sedimenti di origine marina marcatamente sabbiosi. Ed in questa enclave l’azienda Clerico Massimo, vignaioli dal 1700, rappresenta la storia stessa di questa Denominazione (insieme alle famiglie Sella e Sperino). Il suo “Lessona Riserva 2014” ottenuto da uve Nebbiolo (97%) e Vespolina (3%) matura in botte per 42 mesi e regala un calice di un chiaro color granato dai riflessi aranciati dove emergono sensazioni di confettura di marasca e piccoli fruttirossi oltre a note floreali di violetta appassita e a sentori agrumati, ma rimangono attrici primarie le sue sfumature ematiche e eteree che arricchiscono l’intero calice. A voler fare un paragone con il suo precedente calice di Sizzano che esprime eleganza in profumi di fiori e frutti, il Lessona si mostra, invece, leggiadro al naso, dotato di una minore intensità olfattiva e che rimanda ad odori eterei, ma la sua bevuta si caratterizza per una più impetuosa acidità e un notevole dinamismo di beva che diventa un crescendo di piacere.
Gattinara DOCG
E si arriva alle DOCG, a quella di Gattinara, dove il Nebbiolo regala vini molto fini, dai tannini gentili e da un corredo olfattivo nel quale mineralità, note acidule, spezie e odori fruttati di bacche rosse diventano il filo conduttore di quasi tutti i vini della denominazione. Lo conferma il “Gattinara 2016” di Torraccia del Piantavigna che, dopo una leggera roteazione mostra una vena balsamica che vale a conferirgli anche un‘ elegante verticalità. Il sorso è ampio e trova il suo equilibrio in una evidente sapidità, contemperata dalla nota acida e dai tannini piacevolmente nervosi. Vino di lunga persistenza e dotato di una buona personalità gusto-olfattiva.
Ma è nella versione riserva che il carattere del Gattinara pare esprimersi con uno spessore gustativo che evoca pienezza, ed Antoniolo, famiglia storica di Gattinara, fondata dal Cav. Mario Antoniolo negli anni ’40, con il suo “Gattinara Riserva DOCG 2015” diventa un’icona di questa denominazione. Un nebbiolo in purezza maturato per 36 mesi in botti grandi, che si presenta all’assaggio in un luminoso color granato che conduce in un bouquet fine e intenso tra note di confettura di piccoli frutti rossi, sensazioni floreali della violetta appassita e garbati sentori tostati e di polvere di caffè. Al palato, si offre ampio, morbido e di corpo; l’equilibrio è garantito da tannini perfettamente integrati oltre che da una composta freschezza. Lunghissimo nel suo finale.
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A voler cercare un equivalente enologico dei migliori vini di Borgogna in Italia il pensiero va ad alcuni Gattinara come quelli di Antoniolo. Certo i tannini di queste terre sono più ruvidi di un Gevrey Chambertin o di un Vosne Romanèe, ma possiedono quell’ eleganza, quel carattere e quella deliziosa bevibilità che fanno venir voglia di non attraversare per alcun motivo l’Oltrealpe. Il concetto è però un altro, i vini dell’Alto Piemonte sono “semplicemente” i vini dell’Alto Piemonte, sono vini dal soffio vitale dato dall’identità del loro luogo, del loro suolo e dei loro esseri umani e per questo non necessitano di paragoni.
(Assunta Casiello)