Professione pizzaiolo. In senso stretto e lato: si possono avere le mani in pasta (letteralmente) oppure occuparsi di tutto quanto riguarda l’espressione stessa del mestiere. Succede a Napoli come a Milano. Ma sempre di talenti napoletani si tratta.
Storie diverse e diverse età. Medesima invece è la passione, uguale e irrimediabile, così come il rispetto che dà nobiltà al mestiere. Clienti e materie prime, fornitori e maestranze. Nulla sfugge e tutto merita attenzione, quando si fa bene il mestiere delle pizze.
Enzo Coccia e Mario Firpo si conoscono e si stimano, pur a distanza. Nel senso che uno sta al limite del Vomero e l’altro all’ombra della Madonnina. Il primo proprietario-pizzaiolo, il secondo proprietario di pizzeria, entrambi con due locali a disposizione, dove portare avanti la missione della pizza d’autore.
Mario Firpo ha 51 anni ed è nato a Brindisi per via del padre dirigente Enel, ma ha traslocato ai piedi del Vesuvio in tempo per ricevere le stimmate di napoletano doc. Liceo d’ordinanza in scia alla sorella di poco maggiore Marialuisa, che diventerà sua socia per motivi d’affetto, ma anche curatrice di tutta la parte grafica e comunicativa (il suo vero lavoro). Poi la laurea in Ingegneria gestionale e il trasferimento a Torino, destinazione Fiat. Lì il primo incrocio del destino gli fa incontrare Walter Picariello inventore e titolare della pizzeria “Gennaro Esposito”, che per un periodo godrà anche del supporto di Ciro Ferrara.
Benedetta fu la crisi. Quando nel 2013 la Fiat falcidia gli organici, Mario si prende un periodo sabbatico per metabolizzare la fine del suo lavoro in azienda, ma soprattutto per decidere cosa fare da grande. E chiama Walter.
Così, meno di due anni più tardi, in pieno centro a Milano nasce la pizzeria Gennaro Esposito, con Mario in sala e Fabrizio Picariello – figlio di Walter – in cucina. L’idea è quella di rileggere in modo contemporaneo la tradizione partenopea. L’architetto Pierluigi Russo recupera delle antiche mattonelle – le riggiole – per rivestire gli archi, appende al soffitto dei mini lampadari fatti con i panarielli di un artigiano di Ischia, mentre i tavoli (bellissimi!) vengono decorati con le illustrazioni di Maddalena Pignatiello, che illustrano i numeri della tombola napoletana.
In menù, pizze e cucina tipica realizzate con prodotti rigorosamente campani. Il successo è tale che quattro anni dopo, una manciata di mesi prima del Covid, Mario apre una seconda sede nel cuore del quartiere Isola e la battezza “L’Isola Di Gennaro Esposito”, dove il servizio comincia alle 18:00 con aperitivi e sfizi e continua con una serie di pizze realizzate secondo i codici di Tradizione, Evoluzione e Rivoluzione. Mario è sempre lì, metà imprenditore e metà padrone di casa. Un padrone di casa affettuoso, disponibile, allegro, di quelli che vorresti come vicino di casa o come amico di famiglia. Lo capisci quando dice che questa sua nuova vita gli piace assai, “E veramente non tornerei mai indietro”.
Nemmeno Enzo Coccia tornerebbe mai indietro. Ma semplicemente perché lui in pizzeria c’è sempre stato, da quando era alto un soldo di cacio, nascosto dietro il grembiule di mamma e papà alla pizzeria Duchesca, a un passo dalla stazione di piazza Garibaldi. I Coccia sono una dinastia di pizzaioli, una di quelle famiglie che porta nelle mani l’odore dell’impasto e i calli della fatica pizzaiola, ma sempre con il sorriso addosso. Che non è a beneficio delle foto, ma consapevolezza di fare con soddisfazione il proprio lavoro.
Enzo ha dieci anni più di Mario Firpo e una convinzione che azzera qualsiasi tentazione autocelebrativa: “Non sono un artista. I musicisti, gli scultori, i pittori lo sono. Sono un artigiano al servizio di una delle attività più antiche di Napoli, un pizzajuolo. Un pizzaiolo con un’identità, un cervello e un’anima”.
Per rispettare questo diktat sceglie il percorso più difficile, quello della qualità senza sconti. Si allea con Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, per redigere un disciplinare che certifichi la verace pizza napoletana come Specialità Tradizionale Garantita, sforzo riconosciuto dall’Unione Europea nel 2009. Tutto deve essere ai massimi livelli, dall’olio extravergine (vade retro olio di semi!) ai pomodori San Marzano, giù giù fino alla lievitazione, lunga, lenta, e con un nonnulla di lievito di birra, così che quando si esce da La Notiza si ha quasi voglia di tornare indietro per ricominciare a mangiare.
E siccome la voglia di migliorare non arretra, anzi, e un solo locale non basta a soddisfare la voglia di sperimentare, qualche centinaio di metri più in basso, sempre su via Caravaggio, nasce il secondo locale, altro scommessa vinta. A Napoli non si era mai visto una pizzeria dove si accede solo su prenotazione, si bevono birre artigianali e vini naturali e le pizze vengono preparate con ingredienti mai abbinati prima: fiori di zucca e pecorino, lardo di Colonnata e asparagi, crema di zucchine e Provolone del Monaco. Strepitose.
Il “Pizza consulting”, fondato a metà degli anni duemila dà modo al mondo intero di poter accedere ai segreti del suo talento e a nuovi pizzaioli doc di portare il verbo di Coccia da Dubai a New York. Senza dimenticare l’impegno per il sociale, con i ragazzi di Nisida e le detenute del Carcere di Pozzuoli inseriti in programmi di formazione ideati ad hoc.
Il mestiere della pizza è tutto questo e molto altro ancora. Firpo e Coccia ve lo racconteranno volentieri, se solo lo vorrete, degustando una delle loro formidabili pizze, tra Napoli e Milano. Astenersi se inappetenti.
Licia Granello è torinese di nascita e napoletana per scelta di vita. Scrive libri e tifa Toro. Su Repubblica ha scritto a lungo di calcio e di cibo. Oggi collabora con Grande Cucina, Vanity Fair e Wine&TheCity