Wine o’clock: 5 domande e 1 calice
Galleria Artiaco è ormai da anni un punto di riferimento internazionale per l’arte contemporanea che da Napoli parla al globo: è qui a Piazzetta Nilo, che nomi eminenti hanno esposto o preferiscono presentare in anteprima lavori e ricerche che poi girano il mondo. Incontrare Artiaco è un po’ entrare nell’iperuranio dell’arte.
Ciao Alfonso,
pausa pomeridiana tra dopo-lavoro e pre-cena. Ti offro un calice dall’ampia cantina di Wine&TheCity: preferenza di tipo o etichetta?
(…Ci pensa) Ci sono: voglio sorseggiare un Nativ Suadens Bianco a non più di 10°
Napoli città d’arte, dove storia e contemporaneo convivono. Dove altro considereresti il basement della tua professione?
Grazie per questa sottile provocazione… Io ho sempre considerato Napoli il focus e il centro della mia azione: non immagino altro luogo dove poter articolare e metter in scena i miei progetti. Storia e fascino così come contraddizioni e difficoltà sono l’humus più fecondo e prezioso di Partenope. Fare il mio lavoro in questa città ha anche e soprattutto il valore di un’importante possibilità: quella di influenzare da qui la cultura contemporanea.
Di recente è partita proprio da Napoli un’idea di “art-deal networking” ovvero di azione resiliente coesa tra galleristi: come consideri la percezione e l’efficacia dei movimenti collettivi anche nel campo dell’arte?
È sicuramente costruttivo fare squadra e creare un circuito di “visita”, includendo occasioni e itinerari che magari in questo insieme offrono spunti di confronto e approfondimento cognitivo. Un modo per raggiungere nuovo pubblico che approccia più agevolmente le nostre gallerie, in quanto luoghi di libertà, d’incontro e di crescita intellettuale e culturale. La mia euforica sorpresa è nel constatare l’energia comunicativa e la capacità di resilienza che il mondo dell’arte riesce a interporre tra l’umanità e la pandemia.
Seppure sia un termine un po’ inflazionato, parliamo di «restart». Tra la classificazione dell’arte come “non essenziale” e la scommessa positiva di giovani artisti che si mobilitano per la lotta contro la pandemia, in che direzione vedi o auspichi la ripresa del settore?
Nonostante un tempo di latenza e convalescenza indubbiamente necessario, io preferisco pensare che questa piaga dell’umanità non lascerà cicatrici oltremodo visibili o indelebili soprattutto nel modo in cui le persone si rapporteranno, se non nella direzione di una distanza intesa come tutela e rispetto del prossimo…
Una quaestio rilassata sulle tue passioni da tempo libero e in particolare la tua nota predilezione per la cucina d’autore: dove o da chi il primo pranzo fuori, appena sarà possibile?
Anzitutto un giro e una visita da tutti gli amici ristoratori e osti nei miei Campi Flegrei e poi appena i tempi lo consentiranno un appuntamento immancabile per la bella stagione: a pranzo al Don Alfonso 1890, il tempio dei sapori più classici della Campania e della ricerca mediterranea di Alfonso ed Ernesto Iaccarino, apprezzati nel mondo (alla luce anche della recente nuova consulenza al The Ritz-Carlton di Saint Louis negli States).
Perché un calice di «Suadens Bianco» dell’irpina Nativ?
È una cuvée dalle uve più tipiche della Campania: Fiano di Avellino, Greco di Tufo e Falanghina, naturalmente abbinato alla cucina di mare, che amo e prediligo. Oltre che espressione di territorio, con note di mela Annurca e pesca Irpina, nocciola Avellana e castagna di Montella, per me ha un suadente (è proprio il caso) potere evocativo e una beva affascinante, quasi da vino di meditazione. È fresco ed equilibrato con carattere ed eleganza (per un breve periodo in barrique): non a caso è stato insignito con 99 punti dal grande Luca Maroni.
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