Metti una sera a cena. Anzi due. In realtà, molte di più, perchè il programma di BUONISSIMA – manifestazione enogastronomica al suo primo anno di vita, che si è svolta a inizio mese a Torino – prevedeva appuntamenti a tavola in quantità.
Cinque giorni di colazioni-pranzi-cene tra “piole” (le osterie torinesi) e ristoranti, pasticcerie ed enoteche, musei e cortili, dove il cibo è stato protagonista assoluto, dalla degustazione del cioccolato alla trota con foglie di fico. Tutto buono, buonissimo, coinvolgente e ben curato. Ma due eventi – la cena di Massimo Bottura al Museo dell’Automobile e quella a più mani ultrastellate dentro la Mole Antonelliana – hanno sparso meraviglia e speranza a piene mani. Meraviglia per la qualità altissima dei piatti preparati e per le scenografie magnifiche che hanno fatto da cornice. Speranza perchè tornare a vedere i grandi chef cucinare gomito a gomito in nome della cultura gastronomica significa illuminare la nuova stagione della ristorazione italiana, tra i settori più feriti dalla pandemia. Il Museo dell’Auto di Torino è più che un’istituzione. La Detroit italiana, che ha vissuto tutto il bene e tutto il male dell’industria automobilistica, ancora fatica a scrollarsi le scorie della crisi (prima) e dell’abbandono (poi). Ma il museo è un gioiello capace di affascinare anche i più refrattari al culto delle quattroruote.
Intanto perché a cavallo della metà del ventesimo secolo la città pullulava di giovani disegnatori talentuosi, equamente divisi tra chi produceva nella propria carrozzeria e chi ideava nuove linee per la Fiat. Tutti, comunque, capaci di scrivere la storia del design mondiale, da Pinin Farina (si chiamava proprio così) a Giorgetto Giugiaro, da Vincenzo Lancia a Ugo Zagato, da Nuccio Bertone a Giacinto Ghia. Una schiera di designer che ha determinato il destino di Torino e che il museo celebra degnamente nelle sue sale. E poi, la fascinazione delle automobili esposte: per volti versi uniche, o comunque difficilissime da vedere sulle strade, tra prototipi sconosciuti e modelli fuori produzione. Non a caso, la cena – intitolata “Torino Drift”, la tendenza di Torino – è stata affidata a Massimo Bottura, il più automobilistico chef del mondo, essendo nato e cresciuto a due passi dalla fabbrica della Ferrari, dove ha recentemente aperto il bistrot “Cavallino”.
Bottura ha declinato la magia delle sue tre stelle in un ventaglio di piatti oscillanti fra cucina futurista (la crosta della lasagna), cromatismi gustativi (il cotechino col succo di barbabietola) e tradizione brillantinata (i tortellini con tartufo bianco), con il rosso Ferrari a dominare incontrastato. Il tutto, mentre intorno scorrevano le immagini di videomapping che illuminavano i tavoli, disposti vicino a Maserati e 500 “special edition”.
La Mole Antonelliana illuminata a giorno ha accolto chef e ospiti la sera seguente per la messa in scena del “Circo Fellini”, con l’illusionista-trasformista Arturo Brachetti nei panni di maestro cerimoniere e i tavoli a formare un cerchio ideale nel salone principale del Museo Nazionale del Cinema (ospitato all’interno della Mole). Statue e manifesti, porzioni di set e oggetti-culto dei film, ma soprattutto i personaggi dei film di Fellini, che l’anno scorso avrebbe compiuto cent’anni (ovviamente Buonissima è slittata al 2021 per il Covid). Così, tra un tavolo e l’altro si potevano incontrare clown e giocolieri, la Gradisca e Ginger&Fred, tabaccaie e fanfare, tutti vocianti e danzanti, accompagnati da un gruppo di musicisti pronti a dispensare le note più struggenti delle colonne sonore del Maestro Federico, mentre un abile tagliatore di prosciutto dispensava fettine di Patanegra Joselito.
Un set incredibile per un parterre di chef altrettanto mirabolante, a partire dai fratelli Adrià, Albert e Ferran. E poi i tristellati Niederkofler e Uliassi, Ana Roš (due stelle Michelin a Kobarid, Caporetto, sul confine sloveno) e Matteo Baronetto, che di stelle ne ha una sola, ma ne meriterebbe due ed è stato tra gli organizzatori dell’evento, insieme a Stefano Cavallito e Luca Iaccarino. Tra tanto rutilante vedere e ascoltare, i piatti sono stati tutti di strepitosa bontà, a conferma una volta di più che l’alta cucina italiana nel mondo non è seconda a nessuna. A difettare, rispetto alle classifiche internazionali, è la capacità di “lobbying”. Non sappiamo fare rete (dov’è la novità), né governare la comunicazione.
Vivere nella nazione regina del cibo non basta. Bisogna che il mondo lo sappia e soprattutto che ce lo riconosca. Gli ospiti hanno assaporato le preparazioni del Leonardo da Vinci della cucina (Ferran Adrià) e di suo fratello Albert (considerato pasticciere maximo a livello planetario), alternate a quelle dei nostri cuochi. Hanno riconosciuto sì le differenze di ispirazione, ma senza un minimo scarto di livello, una gioia assoluta per occhi, naso e palato. A tutti gli effetti, il più grande risultato della prima edizione di Buonissima.
Licia Granello è torinese di nascita e napoletana per scelta di vita. Scrive libri e tifa Toro. Su Repubblica ha scritto a lungo di calcio e di cibo. Oggi collabora con Grande Cucina, Vanity Fair e Wine&TheCity