All’ombra della Borgogna e dello Champagne,
una nuova luce sull’enomondo che ha fatto del rapporto uomo-natura il suo credo: la piccola regione francese dello Jura.
Questo lembo di terra di appena 80 chilometri, tra la Svizzera e la Savoia, è uno degli otto dipartimenti della Regione Bourgogne-Franche-Comté, con una superficie vitata di appena 2000 ettari che, a voler fare un paragone, giusto per rendere l’idea, è meno della superficie vitata della sola denominazione borgognona di Chablis.
E forse, da un censimento della popolazione, risulterebbero solo vigneron come residenti (oltre ad incommensurabili casari e panettieri).
Duecento, infatti, sono le aziende vitivinicole presenti, di cui oltre 50 certificate biologiche o biodinamiche. E si tratta per lo più di recoltant manipulant, cioè di proprietari che si occupano essi stessi delle proprie vigne.
Ma d’altronde non potrebbe essere diversamente visto che i giurassiani hanno fatto del rapporto con la terra, del rispetto dell’ambiente e della custodia del territorio l’humus per la produzione dei loro vini, che definire artigianale è davvero riduttivo. Sono odi alla natura. Qui siamo lontani anni luce dalle logiche consumistiche e industriali.
Una conferma è la maniacale tendenza verso le vinificazioni parcellari: vigna per vigna, pezzetto di terra per pezzetto di terra, per consentire al terroir di sapersi raccontare e di esprimere la sua capacità evocativa.
Così a partire dal comune di Salins-les-Bains (a Nord), sino alla punta meridionale del comune di Saint-Amour si respira una filosofia qualitativa del vino che mira all’ originalità, ma mai all’esasperazione delle espressioni dei suoi vitigni.
E parlando di vitigni, l’encépagement del vigneto jurassiano si compone di sole cinque tipologie: tre autoctoni Savagnin, Poulsard e Trousseau e due internazionali Chardonnay e Pinot Nero, giunti da queste parti verosimilmente proprio dalla vicina Borgogna. Altre antiche varietà, oltre al Gamay, popolavano la regione e se ne sarebbe persa ogni traccia se non fosse stato per l’ammirevole opera di conservazione di alcuni vignaioli, come Jean- François Ganevat e Raphaël Monnier.
Ciò che è certo è che lo Jura e i suoi vini diventano precursori di uno tsunami nella testa e nel corpo di qualsiasi degustatore e appassionato. Sono vini che superano le porte della coscienza, passando tra sensazioni contrastanti dell’iniziale diffidenza per arrivare poi all’innamoramento più incondizionato.
Lo sa bene il Poulsard, generatore di molteplici sensazioni, e che, forse, è il vitigno che vive meglio su questi terreni costituiti prevalentemente da marne giurassiche, cioè sabbie compresse fossilizzatesi nel tempo, anzi in almeno due tempi lunghi due ere geologiche: il triassico ed il giurassico.
La sua massima espressione, la raggiunge in un piccolo paese incantato, Pupillin. A firmarlo, come olio su tela, è l’iconico vigneron Pierre Overnoy che, con il suo “Arbois Pupillin 2003”, regala un vino superbo nel quale Borgogna e Jura si tengono a braccetto. Quel rosso rubino scarico tipico del Poulsard pare richiamare le stesse cromie di un Pinot Noir. Poi grafite e frutta al naso che rimandano a sensazioni di eleganza e ricchezza olfattiva. Un sorso polposo e salino che si aggrappa alla memoria e non la lascia più. Tanto è emozionante che ogni ulteriore parola potrebbe essere frustrante, si correrebbe il rischio di non portare con sé tutta la veracità delle sensazioni provate.
E’ un giro dell’oca arrivare nel cuore del paese di Arbois, per andare alla ricerca di un vino prodotto da uve Trosseau, ma una volta giunti al “Bistrot de la Turnelle” pare di essere al Municipio del paese. Qui Evelyne e Pascale Clairet, coppia nella vita e nel lavoro, sono diventati attraverso i loro vini, essi stessi un manifesto dello Jura. E oltre al bistrot conducono, infatti, sette ettari frutto di una continua selezione massale in conduzione biodinamica. E tra questi, le vigne di Trousseau regalano un vino, il “Trosseau des corvée”, dalla personalità netta e convincente.
Ma se esiste un emblema per identificare questa regione, è senza dubbio il Savagnin. Vitigno simbolo dello Jura che appartiene da un punto di vista genetico alla famiglia dei Traminer non aromatici.
In purezza produce vini freschi con delicate note speziate, ma lo Jura è inequivocabilmente la patria del vino ossidativo con la produzione di “vini cult” come il Vin Jaune e il Vin de Paille, caratterizzati dal così detto “élevage sous voile” che consiste nel non ricolmare (ouiller) le botti allo scopo di far formare un velo di un tipo particolare di lieviti (saccharomyces bayanus) così da garantire una lunga e controllata ossidazione del vino, responsabile di inconfondibili quanto affascinanti sentori che spaziano dalla noce alla mela verde fino al curry, nonché di una particolare e ricercata grassezza. E questo stile “non ouillé” appartiene per eccellenza – pur se non esclusivamente – al Vin Jaune.
A tal fine pare imperdibile la poetica di Paolo de Cristoforo nel descrivere uno Château- Chalon (il più pregiato dei Vin Jaune): “Aria ti respiro ancora, sai, Ossigeno, il tuo odore è ossigeno [..] nasci morendo, muori vivendo come Benjamin genetica vecchiaia è eterna giovinezza” [..]. Ed è così anche il Vin Jaune di Paul Benoit & Fils 2011 dove tra note affumicate e idrocarburiche, arieggiano poco lontano spezie orientali, agrumi citrini e albicocche candite. Estremamente secco al palato, fresco e lunghissimo. E se a questo “tutto” si accompagna poi anche un buon pezzo di formaggio Comté stagionato, il risultato non è passibile di una descrizione letteraria, tanto è l’estasi.
Pinot Noir
L’Enfant Terrible (così localmente detto il Pinot noir) in Jura è molto spesso assemblato col poulsard o col trosseau, ma i più fortunati se si ostinano nella ricerca troveranno vini sani e spontanei di solo Pinot Noir. Uno fra tutti? No, sono due: Jean Francois Ganevat con il suo “Cotes du Jura Julien” e Domaine de la Lou con la “Cuvée Clemence”.
Chardonnay
E arriviamo all’ultimo dei vitigni, lo Chardonnay dove vista la vicinanza con la Borgogna, qui il rischio poteva essere quello di cadere in un cliché dell’imitazione borgognona, ma i vigneron jurassiani hanno egregiamente scongiurato questa eventualità.
Inconfondibile è, infatti, lo Chardonnay di Domaine Labet. Il suo “La Bardette 2015”, prodotto da vigne piantate negli anni Quaranta, profuma di frutta bianca, di una pungente mineralità e di una ineffabile nota mielosa. Poi un vero e proprio “portamento” dal naso si trasferisce al sorso: il suo fluire è uno slancio tattile dove la matrice odorosa viene sorretta da una spinta acida, che non diventa protagonista, ma lascia spazio ad una diffusione del sapore e affida la chiusura ad una netta scia salina. Ogni sorso diventa intensificatore del piacere gustativo e amplificatore di emozioni.
L’approccio verso questa terra e i suoi vini, diventa un po’ come una presa di coscienza nell’accettare l’impossibilità di catalogare sempre e a tutti i costi un vino. Forse una delle parole fin troppo abusate in questi ultimi tempi modaioli è “terroir”. Troppo spesso inteso solo come la somma algebrica di elementi come il vitigno, il suolo e il clima. E, invece, ciò che insegnano i vini dello Jura, è che il terroir non è nel vino, ma è il vino ad essere nel terroir. C’è una sorprendente capacità in questi vini, infatti, di saper restituire essi stessi il territorio e i suoi cambiamenti nel tempo. Vini che non hanno mai la stessa voce, sfuggono a concetti granitici di schemi degustativi. Vivono nel tempo, vivono nel terroir.