È andata in scena il 19 ottobre a Napoli, nelle sale del Reinassance Hotel Mediterraneo, la prima tappa del tour di degustazione di vini piemontesi promossa dal Consorzio di tutela “Vini del Piemonte” ed organizzata dalla società napoletana Dipunto studio. L’evento di promozione aperto al pubblico e ad un gran numero di operatori è slittato al 2021 mentre si sono svolte con grande successo due masterclass a numero chiuso condotte da Luciano Pignataro. Di seguito il racconto dettagliato di una delle due, in cui la fusione tra il territorio e le sue assonanze ha rappresentato il leitmotiv dell’intero exscursus: un percorso alla ricerca delle identità territoriali, dove ogni anfratto e lembo di terra piemontese è divenuto l’esatto complementare del suo alter ego trasposto nel calice.
Il Piemonte vanta oltre 44mila ettari vitati, dove le strade del vino si intersecano tra vitigni ben noti e riconosciuti nel mondo, come il nebbiolo, la barbera, a vitigni autoctoni sconosciuti ai più come il ruché, il pelaverga, la freisa.
Ne è un esempio la nascetta, vitigno semiaromatico, ormai un vero e proprio reperto enologico, che da sempre ha vissuto una vita travagliata, trovando la sua sfortuna nella sua stessa terra natia, a Novello, uno degli 11 comuni del Barolo DOCG, e così condannato ad una vita in sordina, in favore del più noto Nebbiolo. Merito allora a Casa Baricalino che con “Langhe DOC Nascetta” 2019 lo riporta a nuova vita in una versione agile e snella, ricca di spinta acida e sapidità, con sentori di salvia e rosmarino. Forse questo bianco, cresciuto in una terra di vini rossi, non sarà da dimenticare in cantina per lungo tempo, ma regala piacevoli sensazioni tese e vibranti, e soddisfa la beva.
Se esiste una Langa è, però, di nebbiolo che si discetta. Un idioma fantastico, dai mille volti e sfaccettature, pieno di dissonanze e vasi comunicatori tra le varie denominazioni di cui si veste, ognuna delle quali è in grado di produrre un effetto magico. Ed è così che in un crescendo, Pignataro accompagna per mano la degustazione di tre diverse visioni di Barolo DOCG frutto di uno stesso millesimo, il 2016.
Così a Novello, in Casa Bracalino, il nebbiolo si esprime al naso con note di cenere, ma ancora timido e fioco appare il suo potenziale olfattivo, a dispetto del sorso che pare già raggiungere un buon equilibrio in un ponderato gioco di sapidità e acidità retto da una componente tannica sapientemente integrata.
Se a Novello è, dunque la prontezza ad emergere, l’attesa diventa invece la virtù di chi vorrà godere appieno dei vini di Monforte (altro Comune di produzione previsto dal Disciplinare) dove il “Barolo DOCG Bussia” di Podere Ruggeri Corsini, richiede pazienza e solo una pigra e non affrettata evoluzione in bottiglia, potrà far esprimere appieno questo territorio e uno dei suoi migliori cru (Bussia), forse il più discusso e chiacchierato, il più ambito e il più agognato, ma che sa regalare capolavori di immane fascino.
In questa “lingua di terra” scavata tra il Tanaro e l’Appenino ligure, vive, poi, chi del vino ne ha fatto la storia. Come Franco Conterno, vigneron di Monforte, che di generazione in generazione ha costruito l’anima stessa delle Langhe e Il suo “Panerole” 2016 è quanto di un Barolo DOCG bisogna aspettarsi: odori ferrosi, di goudron ed erbe aromatiche in un boquet già aperto e ampio che fanno spazio ad un sorso perentorio. Un tannino ancora presente, che lascia ben sperare e voglia di riparlarne tra qualche anno, in vista di un futuro già futuribile: potenza e personalità all’orizzonte.
Altro giro, altra corsa, e così che in degustazione viene affrontata una diversa annata, di grande siccità e caldo angusto, la 2017, annata come poche avrebbero immaginato i vignaioli piemontesi, e soprattutto in un diverso territorio, l’Astigiano.
Qui è la Barbera d’Asti il vitigno che meglio parla di questa terra e alla sua terra: un territorio collinare dove le cantine scavate nel tufo, si aprono in stanze segrete, i famosi “internot”, caveaux naturali dove i vini affinano secondo i tempi di maturazione previsti dal Disciplinare.
Così dopo tre anni, e reduce da un millesimo, non propriamente fortunato, questo vitigno ha saputo regalare, nella Barbera d’Alba DOC di Castello di Gabiano e di Podere Ruggeri Corsini un frutto ricco di polpa e sostanza.
Sorsi materici, che avvolgono il palato, dove l’acidità non sovrasta mai, e i tannini sono egregiamente gestiti. Questi i minimi comuni denominatori tra i due calici, che al naso, invece, assumono singole e precise identità: note officinali e aromatiche per “La Braja” di Castello di Gabiano, si scontrano invece con note impattanti e profonde di frutta per “Armujan” di Podere Ruggieri Corsini.
Il simposio, termina, infine, come ogni baccanale vuole, con note dolci e agrumate di un “Moscato d’Asti DOCG” 2019 di Soria, l’oro delle colline, così chiamato questo vitigno aromatico del Monferrato.
Negli applausi soddisfatti di buyer e operatori del settore si conclude una masterclass ricca di connessioni e ricercatezza, in un viaggio immaginario attraverso le storie dei produttori e le peculiarità dei vitigni, che ben fa sperare, in questi tempi bui e fa guardare avanti in vista di una rinascita del mercato tanto piemontese quanto italiano.
Titti Casiello