Nata nel Sessantotto, non poteva che essere una donna simbolo del cambiamento, Daniela Mastroberardino.
Tenace come da essere chi nasce in terre montane e di confine, e resiliente agli ostacoli lungo il cammino. È oggi Presidente delle Donne del Vino, il sodalizio nazionale che unisce più di 1000 donne. Studio in economia, nel 1994 partecipa, insieme al padre Walter e ai fratelli Paolo e Lucio, alla fondazione della tenuta agricola di famiglia, Terredora Di Paolo, di cui oggi è amministratore oltre che export manager. È socia delle Donne del Vino dalla fine degli anni Novanta, quando l’allora delegazione campana era composta da sole 4 produttrice. Ha ricoperto anche incarichi in altre associazioni di settore: è stata Presidente di Movimento Turismo del Vino della Campania, prima di divenire Presidente Nazionale del Movimento Turismo del Vino, ruolo che ha svolto dal 2012 al 2015. Nel 2016 ha ricevuto il Premio Standout Woman Award.
Daniela, oggi è Presidente de Le Donne del Vino, un sodalizio storico e ambizioso, cosa rappresenta per Lei questa nuova avventura?
Un punto di arrivo, perché sono entrata in associazione alla fine degli anni Novanta e sono cresciuta con le Donne del Vino. Mai allora avrei immaginato che avrei raccolto il testimone della Presidenza qualche lustro dopo. Vero è che questo è anche un punto di partenza, rappresentando una bella e impegnativa sfida. Trentacinque sono gli anni dalla fondazione e profondo è il cambiamento da quel gruppo di visionarie imprenditrici alla realtà attuale di oltre mille associate, molto più composita per professioni, perché si è trasformato il mondo del vino nel suo complesso. Agli inizi era stata una piccola grande intuizione non solo dare voce alle donne che si cimentavano in un settore di uomini, ma anche mettere assieme chi fa il vino, con chi lo serve, lo vende, lo racconta. Questa propensione ci ha reso naturalmente più accoglienti verso i nuovi profili professionali che andavano emergendo, soprattutto nel campo della comunicazione, pensiamo alle influencer, giusto per citare l’esempio più noto.
Subentra ad un’altra leader del vino, Donatella Cinelli Colombini: la sua presidenza sarà nel solco di una continuità o esplorerà nuove rotte?
Ricevo una grande eredità che non va dispersa, tanto più che, avendo ricoperto il ruolo di Vicepresidente Vicaria, me ne sento parte. Questi sette anni ci hanno sempre più trasformato vedendoci protagoniste del fare, impegnate ad interrogarci sul gender gap, ma anche sulle nuove tendenze che attraversano il settore. Basti pensare al ruolo attivo che abbiamo ricoperto e ricopriremo nell’Osservatorio sul turismo del vino, perché per analizzare i cambiamenti servono numeri, non bastano sentimento e passione. Un esempio questo che racconta come siamo cambiate, non più le signore del vino, a vario titolo impegnate in questo mondo, ma protagoniste di un cambiamento. Per venire alla domanda, la continuità sarà la cifra importante del mio mandato, ma non posso pensare che non esploreremo nuove rotte, perché questo sono certa ce lo imporrà la realtà, come sempre accade.
Fare associazionismo oggi nel 2023 tra donne: cosa vuol dire veramente?
Tante sono le sfide del presente per tutti, eppure per le donne ce ne è sempre qualcheduna in più. Un’associazione come Le Donne del Vino rappresenta una bella palestra per le giovani generazioni e non solo. È uno spazio di confronto e non mancano quegli esempi positivi che possono inspirare chi arriva, ma anche chi lavora da tempo, dando concreta dimostrazione che non mancheranno mai i risultati se c’è l’impegno, la professionalità, la voglia di contribuire, nel proprio piccolo, a preservare il mondo che lasceremo a chi viene dopo di noi.
Cosa porterà della sua terra, l’Irpinia, la Campania e il Sud più in generale?
Negli ultimi vent’anni l’associazione è cresciuta tantissimo al Sud. Ricordo spesso che, quando ho cominciato, in Campania eravamo quattro, tutte produttrici, mentre oggi siamo una settantina; trasversale è, poi, la presenza in tutto il settore e questo lo giudico l’ulteriore dato da rimarcare. Aggiungo, poi, che la mia è la seconda presidenza al Sud e in Campania e di ciò dobbiamo essere fiere un po’ tutte, perché marca il nostro essere presenti nella vita associativa, la nostra capacità di esprimere un contributo di idee, di progettualità. Quanto all’Irpinia, sono fortemente legata alla mia terra, di una bellezza silente, sconosciuta a chi non l’ha visitata, perché fuori dalle rotte battute dai grandi flussi turistici che arrivano in Campania. Vengo da una secolare e riconosciuta tradizione vinicola, per cui voglio pensare alla mia presidenza come quel piccolo contributo che sto dando, anche solo con l’esempio di un ruolo importante arrivato in questa terra. C’è, infatti, un’Irpinia che non si arrende mai, che pensa solo a fare del proprio meglio e che crede di avere nel vino una delle sue risorse per provare a combattere spopolamento e ripresa dell’emigrazione, stavolta di laureati.
A proposito di Donne, impresa e vino, qual è lo stato reale? Ci sono mancate opportunità, pregiudizi ancora o cos’altro?
Non sono io che parlo di gender gap, il fenomeno l’ha studiato, neanche tanto tempo fa, un’indagine realizzata dal Dipartimento di Studi Aziendali e Giuridici dell’Università di Siena che, tra giugno e luglio 2021, ha sottoposto a 58 aziende (26 al Nord, 12 al Centro, 20 tra Sud e Isole) un questionario molto articolato sul gender gap all’interno delle loro strutture. Come a suo tempo ebbe a dire l’allora nostra presidente, Donatella Cinelli Colombini, era ovvio si trattasse di un campione non particolarmente esteso, ma era interessante che la ricerca italiana fosse arrivata a conclusioni quasi uguali rispetto a una, molto più estesa, effettuata negli Stati Uniti nel 2020. Tre in particolare gli aspetti emersi da quello studio.
Il primo riguardava le competenze e i ruoli svolti in azienda: mentre solo il 10% delle donne è occupata nella produzione e nei vigneti, quasi l’80% è coinvolta in funzioni commerciale-comunicazione-marketing e agriturismo-ristorazione. Il secondo analizzava il rapporto vita privata-lavoro e in particolare l’allarmante dato che vede un numero troppo alto di donne, il 7,6%, abbandonare o richiedere il part-time a seguito della nascita di un figlio. Un dato che se da una parte si associa alla diversità nei contratti (nelle donne c’è più precariato) e a difformità salariali, dall’altra è strettamente legato all’assenza di asili nido e scuole dell’infanzia, sia pubblici che privati, nei pressi delle aziende e al loro costo. Infine, il terzo e ultimo aspetto riguardava episodi di intimidazioni, abusi e violenze, fenomeno per altro difficile da misurare.
Come figlia e sorella in una famiglia del vino tutta al maschile, ed oggi come Presidente delle Donne del Vino, può dirci più di ogni altra: come è cambiata l’imprenditoria rosa nel mondo del vino negli ultimi 10 anni?
Penso che la realtà, specie nelle aziende con una catena di comando corta, cambiano molto più rapidamente di quanto si pensi, anche perché è la vita che ci impone nuove sfide e opportunità. Guardando alla mia esperienza personale, nel 1994, quando nasceva Terredora, non immaginavo i ruoli che avrei ricoperto. Ricordo ancora di quando raccontavo del mio lavoro come un percorso segnato, sì caratterizzato dal vino, ma in un ruolo molto tradizionale, la gestione amministrativa, ritmi di ufficio che meglio si adeguassero a quelli della famiglia. Poi la vita va diversamente e ti ritrovi non solo a ricoprire altri ruoli, ma cambiata. Non credo che la mia storia sia così fuori dal coro. Se fosse stata scattata un’istantanea di gruppo della mia generazione quando ha cominciato e una oggi, sarebbe sotto gli occhi questa piccola, grande rivoluzione, che, talvolta, sembra il racconto di altri.
Donne e vino: come cambia la situazione tra Nord, Centro e Sud?
Ne riparliamo fra qualche mese, non vorrei dare una risposta superficiale, per quanto mi sento di anticipare che nelle aziende medio-piccole, quelle che esprimono un gran numero di produttrici in associazione, ho la sensazione che non ci sia grande differenza, se non i soliti problemi legati al fare impresa in contesti geografici molto diversi.
Tre progetti, iniziative o idee, che vuole realizzare nel corso della sua presidenza.
La vita associativa è prevalentemente svolta a livello regionale, vorrei, dunque, vedere più attività interregionali, come il progetto Connection nato in Campania con Valentina Carputo. Il confronto, la dialettica sono il sale della crescita umana professionale. Lavoreremo per far crescere anche il network internazionale delle associazioni di donne del vino nel mondo, con cui abbiamo siglato un protocollo d’intesa. Questa dimensione di discussione e scambio aiuterà anche a superare quelli che, talvolta, sono confini e barriere mentali, legati al vivere nei nostri piccoli mondi.
Vorrei anche si istituzionalizzassero momenti volti a studiare come cambia il nostro mondo, per essere più chiara vorrei investigassimo di più su cosa pensavano le nostre associate di tante questioni che piovono sulle nostre aziende. Sì cultura, promozione, internazionalizzazione, formazione, ma anche momenti di riflessione. Solo così potremmo proporci per essere invitate, pur esprimendo un punto di vista di genere, ai tavoli dove si parla delle tematiche che riguardano il nostro mondo.
Giornalista freelance dal 1998, per circa vent’anni ha scritto per le testate del gruppo Espresso La Repubblica e firmato articoli per i principali editori nazionali. Nel 2008 ha ideato Wine&TheCity, di cui è direttore creativo. Nel tempo libero continua a scrivere di viaggi, luoghi e storie singolari per Dove, Donna Moderna e altre testate.