La Porta del Vento di Marco Sferlazzo a Camporeale, tra tremila anime che vivono in provincia di Palermo, pare una pellicola d’essai, dove i lineamenti della natura seducono per la perfezione e quelli degli uomini per l’armonia.
E la ragione è presto detta: la perfezione logica della natura, Marco Sferlazzo non fa altro che traghettarla nei suoi vini. In una conduzione dell’Azienda totalmente vocata alla biodinamica, senza interventi chimici in vigna né operazioni massive in cantina, pare gioco forza che, mentre la natura assume connotati di immaginifica perfezione, l’uomo si confà semplicemente all’asse della sua volontà. Ed è proprio questo il connubio perfetto. Nei vini di Porta del Vento c’è vita, paiono parlare di quanto hanno vissuto e di come stanno vivendo nella loro evoluzione. Sono vini vivi e in quanto tali, sono vini veri.
A voler trovare, invece, spiegazioni più terrene, la Porta del Vento è l’ingresso alla Via Francigena che conduce da Camporeale fino a Scicli e che accompagna il viandante sino a 600 metri sopra il livello del mare in una gola dove spirano le correnti marine provenienti dal vicino golfo di Castellamare, che si incuneano lungo i filari dell’Azienda per circa 14 ettari, guardando San Vito lo Capo a Ponente e Punta Raisi a Levante.
Così partendo da questo lembo, Marco, nel 2006, rivoluziona la sua vita: da farmacista a viticoltore. Scelta azzardata visto che Camporeale era da sempre considerata solo una terra di conferitori di uve, ma non di produttori. Qui la filosofia era produrre il “tanto” non il “buono”. Eppure, noi esseri umani, di “vite” ne abbiamo solo una e il rischio di non perseguire il proprio credo è un prezzo troppo alto da pagare. Da qui l’inizio di Porta del Vento e, probabilmente, anche della nuova vita di Marco Sferlazzo.
Come il nome vuole, è proprio il vento, tra i quattro elementi, quello primario, contribuendo a contrastare l’umidità che spesso si crea a causa delle forti escursioni termiche. Ma a coordinarli tutti è, invece, la terra: quella sabbia e quella roccia arenaria dove affondano le radici di antichi filari di vitigni autoctoni, molti dei quali ancora coltivati ad alberello. E così il Perricone, il Trebbiano, il Nero d’Avola, il Catarratto assumo la bellezza donata loro dalla Natura e da quella mano sapiente di un vigneron che mai si basa sui canoni della produttività e della resa esasperata, ma bensì su quelli del rispetto, dell’espressione stessa del territorio, delle fasi lunari. Tra piante di mandorlo, di albicocco, di fiori selvatici … la chiamano biodiversità, un concetto palpabile tra i filari di Porta del Vento.
E se di elementi si parla, la quintessenza è costituita, invece, da ciò che Marco, da questa terra e da questo vento produce: i suoi vini, un etere eterno e senza peso. Provare per credere, certo.
Ciò che è certo è che le declinazioni del Catarratto di Porta del Vento si districano in una scala di aggettivi che dall’ottimo superano l’eccellenza, senza che possa crearsi, però, una scala gerarchica tra le 4 referenze in degustazione, rivelatasi, poi, pirandelliana: quattro volti di uno stesso vitigno.
Se il suo “Porta del Vento” 2020– un Catarratto Doc Monreale – sia da definirsi come vino base, allora ciò dà la conferma che le fondamenta rappresentano la resistenza morale sulla quale quest’azienda si poggia.
Dentro gli argini di una fine ed elegante compostezza olfattiva c’è un vero e proprio entusiasmo di profumi, tutti perfettamente rispondenti al suo vitigno e alla sua terra. Questo Catarratto sa di Mediterraneo prima di ogni odore. Ma ogni odore poi si trasforma e ricorda gli agrumi, le erbe bagnate, le pietre che rilasciano calore e in un gioco di temperature di servizio diventa quasi difficile chiuderlo in uno schema descrittivo, tanto è versatile. Il suo sorso non ha orpelli, è semplice, ma di quella semplicità che sa di sostanza e termina in una non eccessiva persistenza, che, al pari, non si fa dimenticare laddove il suo ricordo non si spegne neppure a degustazione terminata. Indelebile.
Quando si crea col cuore, si costruisce con la mente, ed è così che tra ponderate scelte tecniche e sperimentazioni, la declinazione del Catarratto in versione macerato diventa, solo, un quid in più. Perché se è vero che le macerazioni, a volte, offuscano la vera essenza del vitigno, in “Saharay” 2019 – un IGP Terre Siciliane – così non è. Questo Catarratto bianco che fermenta sulle bucce per 30 giorni e affina 12 mesi in legno, pare, infatti, essere la realtà della natura e il manifesto di un carattere: un concentrato diterroirmisto a ciò che il vino ha voluto da solo diventare. Saharay, il cui colore carico, quasi denso, da rimandare a un’idea di opulenza, è, invece, straordinariamente dinamico al palato. Si confà di matericità al sorso eppure è agilissimo grazie a quella buona carica acida che vale a conferire freschezza e che si placa solo dalla presenza di un tannino che, a sua volta, aggiunge ancor di più un perché. Salino e terroso. Dalla beva non compulsiva, ma meditata, tanto è la curiosità di sviscerare tutti quegli stratificati profumi che emergono dal calice. E alla fine per quanto si rilevi caleidoscopico, a voler catturare le parole si viene sopraffatti.
Dallo stesso vigneto, ma in altra declinazione, nasce anche “Luna Calante”2019– IGP Terre Siciliane – che conferma la potenzialità di queste viti, così come il grande talento di Marco che, in un sapiente gioco tra controlli di temperatura e tempi di gestione della macerazione, mostra ancora un altro volto del Catarratto che stavolta non vede legni per la maturazione, ma solo cemento per 6 mesi, eppure sa dell’odore di cose antiche. Segno e frutto, forse, della sua voluta ossidazione.
Il suo colore ambrato anticipa quella complessità olfattiva che si fa fulminea e così divampano nel naso note di camomilla, di albicocca e del velluto della sua buccia dove quest’ultima addomestica quelle più vispe e allegre note di erbe selvatiche.
Uno, nessuno e centomila. Tra i tanti volti del Catarratto non poteva mancare in ultimo la sua versione in anfora. L’ultimo esperimento di Porta del vento è, infatti, l’IGP Terre Siciliane “Anfora” 2019: uno scambio vicendevole di amore e fiducia. Amore verso la Sicilia e la sua tradizione vitivinicola e fiducia in chi, pur preservando un territorio, lo anima, sperimentandolo in tutte le sue sfaccettature. “Anfora” che macera sulle bucce ed affina, sempre in anfora, per 6 mesi è un luminoso giallo paglierino dagli accenni dorati. La Porta del Vento questa volta diventa la via del sale, tra vasche di acqua marina che rimandano allo iodio e al calore rilasciato dal sole. Leggiadro e così rimane anche una volta intervenuta una buona dose floreale nel calice. Potrebbe profumare di tanti aromi, ma ciò che è certo è che il calice si connota di ragguardevole eleganza e finezza. E così è anche il suo sorso, dove nel movimento della sua bevuta, si disegnano chiaramente i volumi del suo corpo: all’ingresso fresco e dinamico, mentre a mano a mano assume connotazioni quasi saline.
Camporeale pareva alla vista una terra assetata e austera, ma la sua Porta del Vento è stata, invece, un ingresso vitale ed energico, dove tra le declinazioni di Catarratto, a dispetto delle tante maschere e pochi volti pirandelliani, Marco Sferrazzo coi suoi vini ha confermato che ogni volto è “solo” la ricerca di un altro volto.
Azienda Agricola Marco Sferlazzo
Contrada Valdibella
90043 Camporeale – Palermo
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