Scritto da 15:10 Non solo vino, Storie di cibo

Uliassi e la prospettiva capovolta

È uno strano tipo di cuoco, Mauro Uliassi.

Eternamente sospeso tra la voglia di normalità e lo status di super cuoco, il mare davanti e la terra alle spalle, la curiosità che fa osare e il richiamo dell’ancoraggio.

Un mix intrigante, che, declinato a guisa di menù degustazione, ogni anno fa chiacchierare, incuriosire, sdilinquire clienti d’antàn e nuovi gastronomi, turisti della prima volta e consumati addetti ai lavori. Sarà l’andamento binario di vita e carattere – non per nulla è nato sotto il segno dei Pesci – o piuttosto la vocazione al passo di lato, da sfruttare per vedere il mondo in una prospettiva diversa, perfino capovolta se è il caso. Succede quando cresci dietro al bancone del bar di famiglia, circondato e inseguito da tutti gli input psico-commerciali possibili.
La socialità diffusa degli anni ’60, che aveva nel bar un impareggiabile centro di raccolta e smistamento storie, lo ha plasmato. Uliassi è naturalmente gentile, disponibile, allegro. Entra senza fatica in empatia con gli ospiti, e non solo per obblighi di mestiere. Diciamo che gli riesce facile, pratica corroborata dagli anni spesi come insegnante d’istituto alberghiero. La parte commerciale della sua formazione, invece, gli ha permesso di costruire le fondamenta del ristorante evitando errori strutturali.

Quando ha deciso di aprire Uliassi – Cucina di mare (coda abbandonata nel tempo), imbarcando nel progetto la sorellina Catia, aveva ben chiaro dove, come e perché. Sulla spiaggia: ovvero luce, salmastro, aria che si muove, bianco ovunque e contorni netti, come in un quadro di Hopper. Offrendo una cucina sapiente, golosa, non banale. Con l’obbiettivo scoperto e sensato di guadagnare bene, a fronte di un lavoro molto faticoso, come quello del proprietario-cuoco.
A cavallo di fine millennio, uno scartamento di rotta, galeotto uno stage al Bulli. Mica solo per lui: un’intera generazione di cuochi del mondo ha rimescolato sangue e idee dopo aver respirato l’aria di Cala Montjoi, masticando i piatti geniali di Ferran Adrià e i comandamenti sfrontati della nuova ristorazione ideati da Juli Soler. Ma a differenza di tanti colleghi, che importarono soprattutto stile e tecniche, Uliassi tornò dalla Catalogna fulminato dal concetto di fiesta, al piacere di dare piacere.
Tradotto in pratica, meno tavoli e minori incassi, a fronte di un’ineludibile presa di nuova consapevolezza del mestiere. Come uno scatto di orgoglio, Adesso vi dimostro che questo non è semplicemente un buon ristorante, ma un luogo dove arricrearsi (Uliassi si diletta con il napoletano per via di alcuni amici di gioventù). La mappa di inizio millennio è parsa da subito meno conosciuta e più fascinosa, pur al netto delle logiche lavorative (ovvero, Non si lavora per la gloria).

Il ristorante è diventato un accogliente chalet in riva al mare: tavoli distanziati, ceramiche eleganti, lampade di design, servizio morbidamente professionale. La passerella ideale su cui far sfilare i piatti, usciti freschi freschi dal Lab. Ogni fine inverno, da sedici anni in qua, infatti, Uliassi srotola sul tavolo della cucina il foglio bianco su cui scrivere i passi del Lab (per laboratorio) che verrà. Una sorta di brain storming continuato, 40 giorni di intuizioni e bocciature, provocazioni e conferme, disperazione ed esultanza, che coinvolge teste e palati dei collaboratori storici. Da qui sono usciti lo scampo zen e il pancotto coi ricci, i ciabattoni mare da bora e l’ossobuco alla marinara, la prima secca e l’ostrica con le ciliegie. Il tutto in un crescendo lento e inarrestabile come un bolero gastronomico, culminato tre anni fa nella conquista della terza stella Michelin, ampiamente confermate nell’ultimo biennio.

Così, anche quest’anno, surfando fra tamponi e vaccini, Uliassi ha raggrumato intelligenza e talento in forma di menù. Una sequenza ovviamente binaria, che alterna piatti razzenti – l’eleganza del riccio e l’ostrica con ciliegie e rognone su tutti – ad altri piantati a gambe larghe come colossi di Rodi (le seppie sporche con cipolla di Cannara e il colombaccio col rancido di prosciutto). E a chiudere, un Senigallia-Brest – bignè farcito di chantilly, olive caramellate e ciliegie – da capriole. Nel frattempo, l’editore Maretti ha pubblicato un bel libro che mette di fronte a specchio alta cucina ed arte – nello specifico, Uliassi e Giovanni Gaggia – grazie a similitudini cromatiche e di ispirazione, tra piatti ed opere. In copertina, un ritratto in bianconero di Uliassi, metà super cuoco, metà simpatica canaglia. E la sua cucina gli assomiglia assai.

Uliassi
Banchina di Levante, 6, 60019 Senigallia (AN)

Si ringrazia per la foto di Mauro Uliassi il fotografo Lorenzo Ciccone Massi

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