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Le interviste di Salvio Parisi: Paolo Parisi

Intervista a Paolo Parisi

“Wine o’clock: 5 domande e 1 calice”

Salvio Parisi ha incontrato Paolo Parisi, un pioniere della coltura e dell’allevamento consapevoli, un amante immersivo della natura ma sopra tutto e tutti «l’uomo delle uova», come da qui alla luna è conosciuto (nelle celebri immagini del suo amico Oliviero Toscani).

Ciao Paolo,
Anzitutto ti offro un calice del tuo vino di eminenza dalla nostra ampia enoteca Wine&TheCity: hai preferenze di etichetta, vitigno o annata? 

Uno dei miei preferiti è il Vej, uno brut metodo classico di Podere Pradarolo.

C’è chi pensa che tu sia nato prima della gallina e poi… hai fatto l’uovo! Com’è andata sta storia?
Beh prima ancora di “fare l’uovo”, ho adottato un maiale: la cinta senese. Nei primi anni ’90 ho trascorso lungo tempo a capire e riscoprire come recuperare questa inconsueta razza di suino, bandita dall’allevamento toscano dell’epoca. Ho desiderato e creduto con convinzione caparbia nelle possibilità di questo animale e alla fine ne ho sdoganato l’allevamento, introducendone l’adozione nell’alta ristorazione: molti chef di rango ne hanno fatto una sorta di fiore all’occhiello, innescando un processo di “promozione” per l’operazione, il prodotto e il mio nome: al punto che persino il grande fotografo americano Elliott Erwitt ha voluto fare omaggio a questa mia passione e traguardo con un ritratto bianco-nero che mi ha davvero onorato. Da lì all’ideazione di un altro prodotto creativo, inedito e innovativo il passo è stato breve: quindi ho “fatto” il mio uovo! Sì, perchè la mia è stata una specie di follia che avevo pensato e perfezionato solo per i grandi chef: pensa che all’epoca un uovo Parisi costava mille lire! Ho messo a punto un preciso metodo: lontano dai luoghi comuni del marketing, della tradizione toscana e della territorialità io ho insistito sulla composizione meticolosa del mio lavorato (dando ad esempio il latte di capra alle galline) in maniera che potesse esser realizzato e prodotto ovunque e non solo nella mia terra.  Ai primi del 2000 Paolo Marchi ne scriveva entusiasta su Panorama e Cracco si fotografava con le mie galline e uova: da lì la strada s’è spianata, ho preso e continuato a distribuire in maniera esponenziale e gratificante il mio prodotto assai apprezzato in tutta Italia.  

Paolo Parisi – photo Elliot Erwitt

 

Vuoi mettere in ordine (e motivare) queste tue possibili definizioni? Contadino, cowboy, esploratore, capofamiglia, cuoco, poeta, allevatore, artigiano, sognatore e persino “naturopata”!
…Quando da bambino mi chiedevano cosa volessi fare da grande, rispondevo il cowboy! Oggi mi riconosco un po’ in tutte le tue definizioni: posso dire d’esser riuscito nella mia attività di allevatore e contadino, trasmettendo passione e mestiere ai miei figli, ma resto da sempre un sognatore. È il modo più autentico ed efficace per divulgare e trasferire ai giovani il mio, il nostro sapere: così oggi viaggio moltissimo per frequenti consulenze e sono diventato un naturopata per rispetto e amore di Madre Natura. Da capofamiglia sono anche neo-nonno di una splendida nipotina! 

Allevi, cucini, coltivi, friggi, produci, scrivi, inforni, confezioni ma essenzialmente, come tu dici, crei «cose buone»: ormai che la frittata l’hai fatta già tempo fa (…Le Macchie nel 1981 o da poco anche il Panettone), cosa farai da grande?
Ecco… avrei mille idee per mettere in discussione le produzioni, il mercato e le imprese. Organizzo un complotto con la natura: prendo la genetica animale, la immergo nel creato e tiro fuori un prodotto che sul mercato non esiste! Inizierei l’allevamento di un animale selvatico, portando cioè nella mia idea di habitat una razza adusa alla lotta per vivere e procacciare in una natura che da tempo non è più Eden… Sembra un’impresa ardua o complessa, ma è molto più semplice di quanto s’immagini, dal momento che l’odierna industria alimentare non cerca di fare cose buone, ma solo redditizie. E questo è talmente distante dalla mia etica: io credo nei benefici dell’ottimismo, nei profitti del bene e della moralità.

Paolo Parisi – photo Oliviero Toscani

 

Da Usigliano e Pisa in Toscana a Napoli e la Campania. Territori parenti, prodotti complementari, terra e mare (andata e ritorno) e vari amici di fornelli, ma non solo: un legame speciale. Al netto dei tuoi viaggi in giro per lo Stivale, come nasce e vive questo sottile filo rosso?
Ricordo i miei esordi commerciali in Veneto, Piemonte, Lombardia o Romagna, ma arrivato a Roma con la mia cucina sostanziosa e opulenta, ricca e corposa ho avvertito una forte affinità, un feeling reciproco e mi è sembrato di arrivare ai confini di un regno:  quello fertile e perfetto per il mio operato. In Campania mi sento nella casa dell’accoglienza, del calore, della dolcezza: Napoli è un luogo del cuore e mi fa sentire davvero in famiglia…

Chef Parisi, il piatto di pairing col tuo calice di Vej. 
Quando trent’anni fa ho iniziato quest’attività, sono subito diventato sommelier per indagare e approfondire il marketing del vino, che è una delle cose più avanzate del settore alimentare: così ho scoperto i pregi (e gli altarini) dell’industria vinicola. Oggi i miei vini preferiti sono quelli fatti dai veri vignaioli, quelli più semplici, leggermente difettosi o poco corretti. Ho scelto uno spumante della Valle del Ceno a Parma: si chiama Vej (di Podere Pradarolo) ed è un brut metodo classico di malvasia biologica con spiccata acidità. Lo abbino al mio “uovo assoluto”: una padella di ferro con tanto olio, tanto parmigiano, tanto pepe e attenzione alle temperature. L’albume è cotto e coagulato lentamente col formaggio (lì da voi può anche essere un caciocavallo irpino), che per metà si scioglie in crema con l’albume e per metà diventa crosticina croccante nell’olio, poi aggiungiamo tanto pepe (possibilmente quello di sarawak) e accompagniamo col pane di Malafronte da Gragnano.

 

Foto di copertina credits Oliviero Toscani

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